Restauro e rischio chimico: le misure di prevenzione

Le attività di conservazione dei beni culturali possono provocare danni ai lavoratori a causa dell’esposizione a sostanze tossiche. Un documento Inail indica le possibili misure di prevenzione e suggerisce altarnative naturali agli agenti chimici normalmente usati.

Le principali fasi del restauro di un manufatto – ad esempio le operazioni di pulitura, consolidamento e protezione – prevedono spesso l’uso di “ agenti chimici pericolosi (solventi, detergenti, vernici, smalti, resine, enzimi, biocidi, adesivi, stucchi e additivi, composti protettivi, consolidanti e sequestranti)”. E chiaramente “la continua e prolungata esposizione degli operatori ai biocidi di sintesi può causare danni all’organismo spesso acuiti dall’inadeguato utilizzo dei dispositivi di protezione”.

In relazione a questo tema il Dipartimento di medicina, epidemiologia, igiene del lavoro e ambientale (Dimeila) dell’ Inail ha recentemente pubblicato un factsheet dal titolo “Biocidi naturali: possibile alternativa per la sicurezza nel settore del restauro e conservazione dei beni culturali”.

La scheda informativa – a cura di L. Casorri, B. Ficociello, F. Ietto, F. Incoronato e E. Masciarelli – non solo riporta informazioni sui rischi chimici, sui possibili effetti sui lavoratori, sulla valutazione dei rischi e sulle misure di prevenzione, ma ricorda che negli ultimi anni “è cresciuto l’interesse verso l’utilizzo di sostanze naturali a basso impatto ambientale (oli essenziali, idrolati ed estratti di piante officinali) per tutelare la sicurezza degli operatori del settore”. 

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Conservazione e restauro delle opere d’arte: il rischio chimico

Il documento segnala che l’esposizione dei lavoratori ad agenti chimici pericolosi nelle attività di conservazione e restauro delle opere d’arte ricadono nel D.Lgs. 81/2008 e s.m.i. (Titolo IX – Sostanze pericolose, Capo I – Protezione da agenti chimici), che “prevede la valutazione del rischio chimico e la definizione dei requisiti minimi per la protezione dei lavoratori”.

Si ricorda che per definire il profilo di rischio è “necessaria l’analisi delle fasi di lavoro in cui è previsto l’uso di agenti chimici, tenere conto delle informazioni presenti nelle schede dati di sicurezza di ogni prodotto (es. caratteristiche chimico-fisiche, effetti sulla salute, conservazione), dei tempi di esposizione, dei quantitativi, delle modalità e delle concentrazioni di utilizzo. L’analisi deve essere integrata anche dalle caratteristiche dell’ambiente di lavoro nel quale si svolgono le attività (struttura, impianti, attrezzature)”.

Si segnala poi che le varie attività di conservazione e restauro “possono svolgersi in luoghi molto diversificati:

  • in ambienti opportunamente ventilati e condizioni microclimatiche stabili (studio, laboratorio, museo o simili);
  • in ambienti senza un idoneo sistema di ventilazione (sotterranei e seminterrati);
  • all’aperto (scavi archeologici e cantieri)”. 

E l’obiettivo della valutazione è “assegnare un indice di rischio agli effetti negativi per la salute che possono insorgere durante l’attività lavorativa”. Effetti che possono essere correlati a “vari fattori:

  • proprietà chimico/fisiche, concentrazione e modalità d’uso degli agenti chimici;
  • vie e durata dell’esposizione;
  • condizioni ambientali (temperatura, umidità, assenza di adeguati ricambi d’aria);
  • interazione con altre sostanze;
  • capacità dell’organismo ricevente di assorbire, metabolizzare ed escretere, in funzione di parametri (età, sesso, fattori genetici, eventuali patologie presenti, ecc.)”.

Infine gli effetti sui lavoratori “possono essere classificati in:

  • acuti causati da una breve esposizione a dosi elevate (irritazione cutanea e delle vie aeree superiori od oculari, forme allergiche). Ad esempio toluene e xilene possono indurre alcuni effetti come debolezza, perdita di appetito, affaticamento, confusione e nausea;
  • cronici si manifestano dopo un lungo periodo di esposizione a basse dosi causando sindromi a livello del sistema nervoso periferico, epatico, renale e del midollo osseo, cancerogenesi e/o mutagenesi, teratogenicità. Ad esempio l’inalazione di toluene può indurre danni al sistema nervoso centrale o carcinoma polmonare, mentre quella di cloruro di metilene determina stati di incoscienza e confusionali e in taluni casi può portare alla morte”.

Conservazione e restauro delle opere d’arte: le misure di prevenzione

La scheda riporta poi utili indicazioni sulle possibili misure di prevenzione e protezione.

Infatti, sulla base della valutazione del rischio chimico e in relazione a quanto previsto dal d.lgs. 81/2008, il datore di lavoro “è tenuto ad effettuare e ad adottare le adeguate misure tecniche ed organizzative di prevenzione e protezione necessarie per l’eliminazione o la riduzione del rischio, in primis attraverso la sostituzione dell’agente pericoloso con composti meno pericolosi nelle condizioni d’uso”.

E nel caso che la sostituzione non sia possibile è necessario “far riferimento alle indicazioni previste dagli articoli 224 (misure di carattere generale relative ai rischi derivanti da agenti chimici pericolosi) e 225 (specifiche misure aggiuntive) del decreto” 81/2008.

In particolare, durante l’impiego di sostanze chimiche nelle attività di restauro e conservazione dei beni culturali, “è opportuno effettuare controlli mirati per determinare il livello di rischio espositivo, organizzare il lavoro in modo da evitare lunghi periodi di esposizione a tali sostanze, areare prima, durante e dopo le attività lavorative”. 

Riprendiamo dal documento una tabella che riporta le indicazioni sui principali agenti chimici, sugli effetti e sulle misure di prevenzione nelle operazioni di pulitura, consolidamento e protezione:

Conservazione e restauro delle opere d’arte: l’uso di sostanze naturali

La scheda approfondisce anche la possibilità dell’uso di sostanze naturali nel restauro.

Infatti, nell’ottica di un “restauro ecocompatibile”, si indica che l’interesse di molti ricercatori “si sta spostando sull’utilizzo di prodotti a basso impatto ambientale e maggiore sicurezza per l’uomo, rivolgendo la loro attenzione alle potenzialità degli oli essenziali, degli idrolati e dei fitocomplessi estratti da piante officinali:

  • oli essenziali: “prodotti di distillazione delle piante aromatiche, estremamente concentrati, con elevata attività antimicrobica” (ad esempio: Lavandula angustifoliaMelaleuca alternifoliaOriganum vulgareThymus vulgarisPimpinella anisumCarum carviCinnamomum zeylanicumEugenia caryophyllataRosmarinus officinalisMentha suaveolensSalvia officinalis, …)
  • idrolati: sono miscele idrofile molto diluite (“sottoprodotti della distillazione in corrente di vapore degli oli essenziali”) con “minore attività antimicrobica, ma più sicure e applicabili in contesti da cui gli oli essenziali sono esclusi (ad esempio Monarda fistulosaMonarda citriodoraCitrus aurantium)
  • fitocomplessi: “miscele complesse di molecole ad ampio spettro di azione, ancora poco indagate in questo contesto” (ad esempio Allium sativum L., Calamintha nepeta).

Si sottolinea come l’impiego di questi preparati naturali, “non distruttivi per il manufatto”, possa essere una “valida alternativa per la salvaguardia dell’ambiente e la tutela della sicurezza degli operatori del restauro”.

Si conclude che sono ancora indispensabili “ulteriori studi per definire una metodologia standardizzata e consolidare l’uso di queste sostanze nella conservazione del patrimonio culturale”. 

Rimandiamo, infine, alla lettura integrale del fact sheet Inail che riporta ulteriori indicazioni sui vari aspetti trattati e una utile tabella con informazioni su alcuni preparati naturali utilizzabili nelle attività di restauro.

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