Biotecnologie industriali: come garantire la sicurezza secondo l’Inail

Il documento fa particolare riferimento al progetto europeo RES URBIS. Le bioraffinerie, la necessità di standard di sicurezza efficaci e gli obiettivi del progetto.

L’attività di ricerca dell’Inail nel settore delle biotecnologie industriali (white biotech) è focalizzata, in particolare, sulla salute e sicurezza sul lavoro ed esamina gli impianti ed i processi biotecnologici.

Si segnala che il successo sul mercato di nuovi processi tecnologici “è decretato dal raggiungimento del connubio tra massimizzazione delle efficienze produttive, minimizzazione dell’impatto ambientale e miglioramento del livello di sicurezza”. E quest’ultimo aspetto è “oggetto delle ricerche svolte nel contesto del risanamento ambientale, in un’ottica di economia circolare e di sviluppo sostenibile, secondo quanto previsto dal quadro di riferimento europeo”. Anche perché l’applicazione di queste tecniche “può permettere di innovare settori maturi come quelli delle materie prime, della produzione di energia e intermedi, aderendo ai principi di sostenibilità ambientale, economica e sociale, che sono i pilastri portanti della bioeconomia” che si fonda “sull’impiego delle risorse rinnovabili di origine biologica e sull’adozione di una logica circolare, che valorizza le opportunità di riutilizzo attraverso l’innovazione tecnologica”.

A ricordare in questi termini cosa sia la bioeconomia e l’importanza di occuparsi di salute e sicurezza sul lavoro nelle biotecnologie industriali, è un nuovo documento Inail realizzato dal Dipartimento innovazioni tecnologiche e sicurezza degli impianti, prodotti e insediamenti antropici (DIT) e dalla Consulenza tecnica accertamento rischi e prevenzione (Contarp).

Il documento – dal titolo “Salute e sicurezza nelle biotecnologie industriali. Il Progetto europeo RES URBIS” – ricorda che in un’ottica di economia circolare i nuovi processi biotecnologici permettono di minimizzare i quantitativi di rifiuti da smaltire in discarica e di privilegiare prodotti di valore superiore rispetto all’energia e al compost. E viene presentato il progetto europeo RES URBIS che vuole favorire la piena integrazione degli impianti di produzione di bio-prodotti con gli impianti tradizionali per la depurazione delle acque e/o il trattamento dei rifiuti.

Leggi anche:

Rischio chimico e schede dati di sicurezza: ecco quando fornirle

Come vengono classificate le calzature antinfortunistiche

L’economia circolare, la prevenzione e la sicurezza

Il documento, nell’introduzione, sottolinea che l’adozione di standard di sicurezza efficaci, reattivi e responsabili “può aumentare la fiducia dell’opinione pubblica e promuovere lo sviluppo degli impianti di nuova generazione (bioraffinerie)”.

E in tal senso il primo passo “dovrebbe essere la sostituzione dell’attuale paradigma basato sulla valutazione e gestione del rischio a valle dello sviluppo industriale, con un approccio proattivo applicato all’inizio della progettazione del processo e dell’impianto”.

Si indica poi che “sebbene i rischi per l’ambiente e la salute, posti dalle bioraffinerie, siano generalmente considerati inferiori rispetto a quelli dei tradizionali processi chimici e petrolchimici, si riscontra una carenza informativa sugli aspetti di salute e sicurezza delle bioraffinerie, in particolare per i nuovi bioprocessi in fase di sviluppo”.

E è necessario, dunque, implementare specifiche misure di prevenzione e protezione e di sistemi di controllo e monitoraggio dei processi per “contenere l’esposizione lavorativa e quindi il rischio per il lavoratore. Ciò è particolarmente rilevante nei casi in cui, nei processi innovativi basati su modelli di economia circolare, abbia luogo la produzione di composti gassosi infiammabili”.

A questo proposito si ricorda che un concetto chiave per tutti i settori lavorativi, e soprattutto per quelli emergenti, è quello della prevention through design, “ossia la progettazione del processo e/o dell’attrezzatura in modo tale da eliminare alla fonte il pericolo per il lavoratore”. E anche l’attuale strategia europea di gestione delle sostanze chimiche “sottolinea che l’adozione di sostanze sicure e sostenibili sin dalla progettazione non è solo un’urgenza per la società, ma anche una grande opportunità economica, oltre che una componente fondamentale della ripresa dell’Unione Europea (UE) dalla crisi pandemica da COVID-19”. E può essere necessario “avvalersi degli strumenti normativi per incentivare e premiare la produzione e l’uso di prodotti chimici sicuri e sostenibili”.

In definitiva “la transizione verso l’adozione di sostanze chimiche e prodotti chimici sicuri e sostenibili, compresi quelli a base biologica, è di fondamentale rilevanza per la tutela della salute umana e dell’ambiente, oltre a rappresentare un importante prerequisito per il raggiungimento di un’economia circolare non inquinante”.

Le motivazioni e gli obiettivi del progetto RES URBIS

Il documento si sofferma poi sul progetto RES URBIS.

Si indica che in considerazione del forte impegno UE per la piena attuazione di un’ economia circolare, “è necessario estendere e migliorare le opzioni disponibili per il recupero delle risorse dalla frazione organica dei rifiuti di origine urbana, orientandosi, in modo particolare, verso prodotti di valore superiore rispetto all’energia e al compost. All’interno dell’ambiente urbano, quantità significative di residui organici provengono dalla raccolta differenziata della frazione organica dei rifiuti solidi urbani (FORSU) e dai fanghi degli impianti di trattamento delle acque reflue urbane. Sebbene FORSU e fanghi provengano dalla stessa area urbana e contengano quantità simili di carbonio organico, questi due flussi di solito vengono gestiti separatamente. Tale consolidata differenziazione delle opzioni di trattamento genera, per conseguenza, l’opportunità di identificare processi e strategie che consentano l’effettiva conversione del carbonio organico, contenuto nei rifiuti urbani, in prodotti a base biologica ad alto valore aggiunto, riducendo anche gli impatti globali sull’acqua e sul clima causati dal loro trattamento e smaltimento”.

In poche parole il trattamento integrato delle acque reflue civili insieme ai rifiuti solidi organici (“per lo più di origine municipale, pur non escludendo i reflui dell’industria alimentare di composizione comparabile”) in una nuova “bioraffineria di rifiuti organici” è un’opzione chiave “per implementare praticamente un trattamento sinergico di tutti i flussi di rifiuti organici di origine urbana rilevanti. In effetti, questo approccio alla ‘bioraffineria dei rifiuti organici’, integrato e flessibile, può presentare numerosi vantaggi, sia in termini ambientali che economici, soprattutto perché consente di raggiungere la capacità operativa critica della bioraffineria a base di rifiuti anche all’interno di realtà minori”.

È quindi necessario “creare cluster autonomi in cui le strategie di recupero siano accessibili e i cicli di recupero possano essere chiusi all’interno del cluster stesso, ad esempio senza la necessità di trasportare su lunghe distanze né i rifiuti organici né i prodotti a base biologica che ne derivano”.

Dunque l’obiettivo generale del progetto “RESources from URban Bio-waSte” (RES URBIS) è quello di “utilizzare un’unica catena tecnologica principale per la conversione di diversi tipi di rifiuti organici urbani in prodotti a base biologica, riducendo al minimo anche eventuali rifiuti residui o conseguenti da smaltire”.

E l’obiettivo del progetto, proposto ed è coordinato dal Centro lnterdipartimentale di Ricerca per l’Ambiente e Beni culturali (Ciabc) dell’Università La Sapienza di Roma, è stato raggiunto combinando:

  • “raccolta e analisi dei dati sulla produzione di rifiuti organici urbani, le loro caratteristiche e i sistemi di gestione presenti in cinque cluster territoriali selezionati;
  • attività sperimentale mirata a risolvere una serie di questioni tecniche aperte, relative alla conversione della materia prima dei rifiuti organici in prodotti a base biologica destinati al mercato, utilizzando la combinazione appropriata di tecnologie innovative e collaudate;
  • analisi di mercato all’interno di diversi scenari economici e business model per il pieno sfruttamento dei prodotti a base biologica (incluso un percorso per rimuovere barriere e vincoli normativi)”.

Si segnala poi che, più in dettaglio, “nell’ambito del progetto, nei rifiuti organici urbani sono risultati compresi: 

  • la FORSU, come i rifiuti alimentari e di cucina provenienti da abitazioni, ristoranti, mense ed esercizi commerciali;
  • i fanghi in eccesso da trattamento di acque reflue urbane;
  • rifiuti di giardini e parchi;
  • rifiuti selezionati provenienti da impianti di trasformazione alimentare (ovvero scarti di frutta)”.

Rimandiamo all’approfondimento del progetto RES URBIS, con riferimento anche agli obiettivi specifici e ai principali risultati descritti nella pubblicazione Inail.

Back To Top