Perché riformare il Testo Unico per la Sicurezza sul Lavoro: intervista a Luigi Ferrara (Ancors)

Perché riformare il Testo Unico per la Sicurezza sul Lavoro ( D.lgs 81/08)? Lo spiega Luigi Ferrara, presidente dell’Associazione Nazionale dei Consulenti e dei Responsabili della Sicurezza sul lavoro ANCORS e presidente di Confassociazioni Sicurezza.

Perché riformare il Testo Unico per la Sicurezza sul Lavoro?

«Nel 2018 si sono registrati 1.133 morti sul lavoro. È quanto rileva l’INAIL. Facendo una media su base annua, tre persone al giorno perdono la vita sul posto di lavoro o per incidenti durante il tragitto casa-lavoro.

In dieci anni, e cioè dal 2008, anno dell’entrata in vigore del Testo Unico sulla Sicurezza, sono morte più di 15mila persone. Un bollettino di guerra che continuiamo a contrastare, ma a non debellare, perché ciò che manca è la consapevolezza che lavorare in ambiente sicuro ha diretta correlazione con i rischi per la vita.

Dobbiamo lavorare insieme per raggiungere l’obiettivo possibile secondo il quale lavoro – salute – sicurezza rappresentino una terna imprescindibile e le persone si sentano protette,  ispirate dai sentimenti,  ma non guidate dagli obblighi, e dove si ama lavorare in sicurezza perchè si ama la vita.

Chiunque sia entrato in contatto con questa drammatica realtà, non può non convenire su un punto: la scoraggiante stupidità della maggior parte degli incidenti. Disattenzione, disorganizzazione, eccesso di confidenza, scarsi investimenti per la sicurezza, sottovalutazione del pericolo, abitudini scorrette, fretta, superficialità, credersi superiori al rischio, sono spesso i veri assassini.

È chiaro, quindi, che la risposta non può limitarsi a leggi e a sanzioni sempre più severe.

Bisogna, invece, modificare l’operare per cambiare comportamenti e cultura, impresa non da poco se si considera che la cultura si fonda sull’abitudine, quella zona di comfort da cui abbiamo paura a uscire. Tenendoci al sicuro fra le nostre certezze, però, mettiamo in atto una resistenza al cambiamento, anche quando questo è evidentemente migliorativo.

Tuttavia, per quanto difficile, il cambiamento culturale è possibile. La chiave di volta è semplice e concreta: rendere tutti i cittadini e lavoratori consapevoli attori del cambiamento.

Due esempi su tutti: il fumo nei locali chiusi e le cinture di sicurezza. Inizialmente, il divieto di fumo è stato accolto con scetticismo e fastidio, ma oggi esistono intere aree dedicate ai fumatori, così come paesi che lo inibiscono completamente, anche all’aria aperta, si prenda ad esempio la Svezia.  Per quanto riguarda le cinture di sicurezza, siamo a metà del percorso perché se è vero che quelle anteriori sono diventate una buona abitudine, per quelle posteriori c’è ancora tanto lavoro da fare.

Perché il cambiamento si realizzi è necessario coinvolgere la sfera emotiva: facendo leva sui sentimenti, infatti, si portano le persone ad abbandonare lo status quo e a modificare le proprie abitudini».

Quali sono i principi ispiratori della proposta?

«Allo scopo di rendere più efficiente un quadro normativo severo, che non fa differenze tra realtà lavorative complesse e realtà piccole e meno organizzate, enumeriamo di seguito i principi ispiratori generali della nostra proposta di legge volta alla semplificazione, ferma restando la volontà di mantenere alti i livelli di controllo con il chiaro obiettivo di sensibilizzare datori di lavoro e lavoratori affinché cambi radicalmente il loro approccio al tema. 

Il D.lgs 81/2008 e s.m.i. costituisce il principale corpus normativo in materia di salute e sicurezza, esso si caratterizza per la sua eccessiva complessità, legislativa e di attuazione, già bene esemplificata dai numeri (ben 306 articoli , ai quali si aggiungono gli oltre 50 allegati) e che in alcuni casi è carente sotto i profili di determinatezza, come alcuni recenti interventi della giurisprudenza italiana e comunitaria hanno rilevato, particolare non trascurabile considerato che può generare incertezza e che sicuramente determina oneri impropri per le imprese e per i lavoratori senza avere certezza della correttezza dell’adempimento posto in essere.

Anche la Commissione europea con comunicazione del 10/01/2017 ha invitato gli Stati membri a rivedere la legislazione nazionale in materia di salute e sicurezza, ponendo l’attenzione sulla necessità di accrescere la protezione senza aggiungere inutili oneri amministrativi, evidenziando come particolarmente positivo il vaglio da parte degli Stati Membri dei propri quadri legislativi al fine di poterli semplificare, lasciando inalterato o innalzando il livello di protezione.

Tale complessità è ancora più preoccupante ove si consideri che il “testo unico” non prevede alcuna “modularità” delle disposizioni applicabili alle aziende rispetto alle peculiarità dei settori e delle attività di riferimento, imponendo in modo indistinto a tutti i datori di lavoro l’adozione, tendenzialmente assistita da sanzione penale, delle stesse misure di tutela progettate sul modello di una impresa manifatturiera, strutturata e organizzata in modo tradizionalmente gerarchico.

Queste procedure imposte obbligatoriamente, hanno “appesantito” sensibilmente la regolamentazione italiana, senza alcun miglioramento in termini prevenzionistici.

Inoltre, nel tempo si sono dimostrate penalizzanti per le imprese italiane a differenza di altre imprese comunitarie che, chiamate ad applicare le normative comuni per mezzo di leggi nazionali, si sono invece limitate al recepimento delle procedure minime ma sufficienti ad essere adempienti.

L’esperienza maturata negli anni di attuazione del d.lgs. n. 81/2008 ha fatto emergere la criticità di tali impostazioni, soprattutto rispetto alle esigenze degli uffici e delle Piccole e Medie Imprese, cui viene chiesto un numero di adempimenti notevole, del tutto equivalente rispetto alle imprese di grandi dimensioni e sproporzionato rispetto alle esigenze di tutela dei lavoratori.

In altre parole, è ormai evidente ed improcrastinabile indirizzare la normativa vigente in materia di salute e sicurezza verso una maggiore pertinenza rispetto alle dinamiche e ai rischi infortunistici di settore e tenendo conto delle diversità delle organizzazioni di lavoro.

Appare necessario abbandonare definitivamente l’approccio formalistico, ancora purtroppo ampiamente diffuso nella regolazione e nella sua interpretazione, a favore di uno pratico e sostanziale, che concepisca le regole di prevenzione in modo coerente con la gravità dei rischi propri delle imprese dei diversi settori di riferimento e che favorisca un approccio normativo fondato sulla sostenibilità degli obblighi di legge da parte di studi professionali, uffici in generale e Piccole e Medie Imprese, cui non è logico né corretto chiedere gli stessi adempimenti imposti ad aziende con processi complessi e con numero elevato di lavoratori, senza alcuna considerazione dei dati infortunistici di riferimento.

Per realizzare tale obiettivo occorre procedere ad una profonda rivisitazione del quadro giuridico vigente, il quale va ricondotto alla sua natura più essenziale, eliminando tutto ciò che non ha attinenza con le Direttive comunitarie e che costituisce, quindi, un carico di obblighi molto spesso privo di ricadute positive in termini di prevenzione di infortuni e malattie professionali».

Quali sono i dettagli della proposta?

«Dopo il convegno che abbiamo tenuto alla Camera dei Deputati  lo scorso 2012, dove abbiamo presentato la nostra proposta, nella mia duplice veste di Presidente dell’ A.N.CO.R.S. “Associazione Nazionale Consulenti e Responsabili Sicurezza sul lavoro”, associazione professionale rappresentativa a livello nazionale con circa 170 sedi nel nostro Paese e 6 sedi di rappresentanza all’estero e con oltre 9mila iscritti e di Presidente della branch Sicurezza di CONFASSOCIAZIONI, confederazione, che raduna 425 associazioni con più di 750 mila professionisti iscritti, espressione di 136 mila imprese.

Ho incontrato molti esponenti politici sia delle forze di governo e che delle opposizioni, i dirigenti dell’Ispettorato Nazionale e dell’Inail e le parti sociali, per convenire con tutti sui principali interventi di riforma, che riassumo di seguito:

  • 1. SEMPLIFICAZIONE

Identificazione dei principi essenziali di sicurezza, all’interno delle direttive europee e delle “norme tecniche”, nelle “buone prassi” e nelle “linee guida”, che costituiscano, da un lato, i livelli minimi inderogabili della tutela dei lavoratori rispetto agli infortuni e alle malattie professionali, dall’altro, il parametro di valutazione dell’adempimento degli obblighi delle aziende, con conseguente abrogazione delle disposizioni “di dettaglio”. Il D.lgs 81/08 e s.m.i. attualmente prevede alcuni obblighi essenzialmente formali, documentali e burocratici, che, come sopra evidenziato, generano costi inadeguati e sproporzionati a carico delle aziende ed in particolare di quelle piccole, senza generare efficacia con la conseguente diminuzione della percezione nei datori di lavoro e nei lavoratori della cultura delle prevenzione.         Proponiamo, inoltre, contestualmente alla rivisitazione complessiva della normativa vigente, eliminando ripetizioni e sovrapposizioni, la revisione dell’apparato sanzionatorio, garantendo una più equa modulazione dei precetti, che ispirandosi alla semplicità renda ugualmente concrete la tutela prevenzionale.

  • 2. SOGGETTI ESPERTI E COMPETENTI

Riteniamo, inoltre, necessario stabilire il principio secondo il quale il datore di lavoro è tenuto ad adottare le misure di prevenzione e protezione più evolute ed efficaci in materia di prevenzione di infortuni e malattie, che siano rispondenti alle elaborazioni tecnico- progettuali di soggetti competenti e, se necessario, prevedendo opportuna validazione da parte di soggetti pubblici e che esso possa a nostro avviso, rivolgersi agli Ordini, Collegi e Associazioni professionali, competenti in materia di salute e sicurezza sul lavoro, che abbiano il compito di attestare sotto la propria responsabilità  la correttezza della progettazione e realizzazione delle misure di prevenzione e protezione in azienda.

  • 3. CABINA DI REGIA NAZIONALE

Proponiamo la creazione di un’Agenzia Nazionale per la Sicurezza sul Lavoro e non solo pensiamo ad una Agenzia che possa parlare a tutti i cittadini ed alle famiglie per diffondere la cultura della prevenzione nel nostro paese e che costituisca una cabina di regia unica nazionale , avente gli obiettivi:          

  1. di coinvolgere tutti i cittadini in attività formative e informative per renderli consapevoli dei rischi e attenti ai pericoli derivanti genericamente dall’ambiente e, di conseguenza, nell’ambito lavorativo, perché riteniamo che un cittadino più consapevole è un lavoratore meno esposto;
  2.  di comunicare con tutti i soggetti coinvolti ad unica voce la nuova strategia nazionale di prevenzione che si andrà a sviluppare, perché non vi può essere comportamento sicuro che non sia consapevole, ossia frutto di una adeguata comprensione dei messaggi di prevenzione acquisiti dai cittadini e dai lavoratori.
  3. Sviluppare programmi nelle scuole di ogni ordine e grado per diffondere la cultura della prevenzione per farla divenire consapevole comportamento abituale sia nella vita privata che sul lavoro.
  4. Estendere la tutela a tutti coloro che svolgono attività lavorative in condizioni di fragilità e rischiano di essere esclusi dalla tutela di diritti fondamentali sanciti dalla Costituzione a causa delle nuove modalità di lavoro imposte dal progresso tecnologico. Mi riferisco ad esempio ai riders, ma anche a tutti coloro i quali non svolgono la loro attività all’interno dei tradizionali luoghi di lavoro ed auspichiamo, per il prossimo futuro, la progettazione strategica di una prevenzione che, avvalendosi per gradi di una crescente interazione con sistemi automatizzati, sostitutivi degli operatori umani nei lavori insalubri, faticosi, monotoni, ripetitivi e solitari, non solo farà nascere nuove professioni con robot, meccatronici, etc.  ma diverrà naturalmente un efficace strumento di prevenzione.
  • 4. FORMAZIONE

Migliorare la formazione, armonizzando il sistema e gli standard formativi definendo formule e modalità più efficaci e rispondenti ai fabbisogni dei diversi contesti produttivi, privilegiando gli aspetti sostanziali rispetto a quelli meramente formali e utilizzando metodi di apprendimento attivi e partecipativi compreso l’addestramento».

E quindi ora tocca alla politica fare qualcosa…

«Tutti noi siamo impegnati a cambiare qualcosa (in meglio si intende), adesso tocca alla politica fare i prossimi passi, sono speranzoso che si possa anche riuscire ed in tempi brevi e se così non fosse… beh ci abbiamo provato! Il nostro impegno viene dal senso di responsabilità ed a quello non ci potremo sottrarre mai».

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